Quando Diego diceva:

Corriere del Mezzogiorno, 4/08/2021

“Io sono sinistro, tutto sinistro: di piede di fede, di cervello”. Diego

Armando Maradona ha ribadito spesso questo suo concetto. A chi gli chiese perché si era tatuato sul braccio l’immagine di Che Guevara rispose: «Tatuarmi sul braccio El Che è stata una provocazione. In Argentina, El Che è considerato un terrorista per i suoi ideali. Videla, l’ex dittatore argentino, non è un terrorista. Toglievano i bambini alle madri e uccidevano le stesse madri, quando non sopportavano più il dolore. E invece, per loro El Che è un terrorista». Non si può comprendere il pensiero politico di Maradona senza conoscere il suo rapporto con Fidel Castro, che gli salvò la vita facendolo curare a Cuba. Un rapporto così intenso che Diego non esitò a dire che per lui era stato un suo secondo padre. Diego ha sempre scelto di stare dalla parte degli ultimi – siano stati essi gli argentini sconfitti dalla folle guerra delle Malvinas, o gli scugnizzi di Napoli e dei Sud del mondo. Un eroe moderno che da solo ha affrontato e sconfitto i ricchi e vincenti club del nord Italia e le potenti nazionali dell’Inghilterra e della Germania; che ha accusato pubblicamente i potenti del calcio di essere corrotti, e che ,anche nella vita reale, non ebbe paura di puntare in alto quando scelse suoi nemici. Provate voi ad accusare pubblicamente i reali inglesi di essere degli assassini, per quella folle guerra, pur riconoscendo che la colpa del conflitto era dei militari argentini; a schierarvi in Occidente dalla parte di Fidel contro Bush e il sistema capitalistico che rappresenta. Quando nel 2005 decide di guidare la marcia contro Bush, Diego è l’eroe valoriale che si batte per l’emancipazione dei popoli e contesta il progetto egemonico delle multinazionali statunitensi che proponevano l’Area di libero commercio delle Americhe (Alca). Ridurre, quindi, il fenomeno Maradona all’essere stato il più grande giocatore del mondo è un errore e una violenza che si fa ad un uomo coraggioso. Chi sostiene che in fin dei conti si è trattato solo di vittorie conquistate su un campo di calcio, finge di non comprendere i significati allegorici che si nascondono dietro il pallone e il giro vorticoso di affari, politica e potere che questo mondo rappresenta. Maradona conosceva bene i cori razzisti che i tifosi avversari «vomitavano» sui napoletani ogni volta che andava a giocare negli altri stadi. Una volta disse: «I napoletani erano gli africani d’Italia. Andammo al Nord, ovunque entravamo c’erano striscioni con scritte “lavatevi”. Era disgustoso. Erano tutti razzisti. Sentivo di rappresentare una parte dell’Italia che non contava nulla». E quando afferma: «I Napoletani sanno che feci di tutto per fare vincere il Napoli. C’era la netta sensazione che il Sud non poteva vincere contro il Nord», sa bene che quelle vittorie non erano solo calcistiche. Come dare, quindi, torto a Diego Armando Maradona Junior che – conoscendo la storia del padre -in risposta alla candidatura di Hugo Maradona – afferma che non potrebbe mai appoggiare chi sta con la Lega e con Meloni? Il figlio di Maradona, che non sogna minimamente di candidarsi – ha espresso un giudizio politico corretto, ringraziando chi, come Sergio D’Angelo, gli ha concesso di allenare la Napoli United (un tempo Afro Napoli) la squadra interetnica nella quale in precedenza aveva anche giocato e ha espresso il suo apprezzamento per le sue posizioni politiche. Nel pieno rispetto della scelta di Hugo di candidarsi, mi permetto solo di metterlo in guardia dalle speculazioni sul suo prestigioso cognome, se è vero come è vero, che il suo sponsor politico sfoggiava una maglietta con la scritta: «Chi ama Napoli e non è juventino…» con chiara allusione al candidato Manfredi e che la sua presentazione è avvenuta, in pompa magna, davanti allo stadio che porta il nome di D10S.

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Studio Legale Senatore
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