Convegno internazionale – Napoli 2 maggio 2014. “Il fondamentale ruolo dell’avvocatura nel contesto internazionale – Gli avvocati protagonisti del cambiamento.”

Cosa significa essere avvocati in un mondo globalizzato? Cosa dobbiamo fare per evitare il diffondersi di un’idea mercificata dei rapporti giuridici, che fanno prevalere il diritto privato sul diritto pubblico, gli interessi economici di gruppi di potere su quelli sociali ? Penso che questi siano i termini reali della partita, che si sta giocando a livello mondiale, tra chi cerca cioè di imporre un modello di avvocatura funzionale agli interessi dei potentati economici e chi ha una concezione diversa dell’avvocatura, legata alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

Gentili avvocate e cari avvocati,

abbiamo voluto organizzare quest’incontro per comprendere le ragioni della crisi della nostra professione, per analizzare le cause degli incessanti attacchi che i governi di tutto il mondo e i poteri economici stanno effettuando nei nostri confronti e per discutere, come dice il tema del convegno, dell’importanza del ruolo sociale dell’avvocatura, nel contesto internazionale, e contrastare la falsa idea di chi considera gli avvocati come un ostacolo allo sviluppo economico.

Un incontro che ha l’ambizione di aprire un dibattito, che affranchi i nostri pensieri da logiche di basso profilo e organizzi azioni comuni da realizzare a livello internazionale, per far si che gli avvocati diventino protagonisti del cambiamento di questo mondo che non ci piace.

E quest’analisi non può che partire dall’esame della situazione italiana e sarà utile ed interessante ascoltare gli avvocati degli altri Paesi per comprendere  quali sono gli elementi in comune e quali le specificità di ogni singola nazione.

Negli ultimi anni gli avvocati italiani sono stati oggetto di incessanti e violenti attacchi da parte dei diversi governi che si sono succeduti. Un disegno sottile, che in un primo momento non abbiamo compreso e contro il quale siamo stati deboli e divisi. Ed è così che siamo stati costretti per anni ad arretrare vistosamente dietro ad una serie di finte riforme e provvedimenti illegittimi e incostituzionali, figli di una concezione  illiberale dello Stato.

Un attacco che ha toccato un livello di rozzezza e violenza insopportabile che la migliore avvocatura italiana ha combattuto, con una serie di azioni di  protesta che hanno visto il loro punto più alto nella manifestazione nazionale del 20 febbraio alla quale hanno partecipato più di diecimila avvocati.

A Roma hanno gridato la loro  indignazione contro un governo che, nel nome dei tagli di bilancio, giustifica i suoi provvedimenti incostituzionali ed è arrivato a proporre riforme che prevedono che i cittadini paghino per conoscere le motivazioni delle sentenze; che gli avvocati siano personalmente e direttamente responsabili nell’ipotesi di lite temeraria, che ha quadruplicato il costo delle marche da bollo e – , nel ridurre di un ulteriore 30% i compensi per il gratuito patrocinio nega, di fatto, ai più poveri il diritto di essere tutelati, essendo divenuto economicamente insostenibile per gli avvocati assumere la loro difesa. Provvedimenti tesi ad ostacolare l’accesso alla giustizia dei cittadini, a mortificare il ruolo degli avvocati e ad intimorirli.

E sebbene grazie alla reazione degli avvocati, alcuni di questi provvedimenti sono stati ritirati, è un errore pensare che queste riforme siano il frutto della casualità o di un ceto politico rozzo ed ignorante che, agendo in maniera inconsapevole, ha in odio gli avvocati, ma occorre, al contrario, smascherare l’ideologia che li alimenta e dire che queste leggi sono il portato di una concezione, ormai predominante in Europa, che cerca in tutti i modi di contrastare la funzione sociale di contropotere, che la migliore avvocatura ha storicamente svolto e disegnare una diversa figura di avvocato funzionale agli interessi economici dei gruppi dominanti.

Ma per capire come sia stato possibile giungere a questo livello di attacco è necessario partire da un’analisi del contesto economico e sociale che si è venuto a determinare negli ultimi decenni e che, nel favorire la totale liberalizzazione del movimento dei capitali, ha trasformato il capitalismo da regolato a finanziario. Una scelta che, di fatto, ha avviato il processo di globalizzazione dell’economia e ha spogliato gli Stati della loro sovranità monetaria e finanziaria favorendo la fine del monopolio esclusivo del potere,  da parte degli Stati stessi.

Viviamo ormai in un mondo nel quale il concetto di confine appare superato e in cui gli Stati  nazionali sembrano dissolversi in un mondo dominato da poteri che appaiono incontrollabili.

Il modello degli Stati nazionali garanti della effettiva difesa dei diritti è entrato in crisi e con esso la funzione, fin qui svolta dagli avvocati, di intermediari dei cittadini verso le istituzioni per la tutela delle loro istanze.

C’è da chiedersi come in questo mondo senza confini si possa esercitare la tutela dei diritti fondamentali e se l’inarrestabile processo di affermazione dei diritti civili e sociali è terminato o meno, e se questi diritti democratici, conquistati, almeno in occidente grazie a grandi lotte, sono ormai un patrimonio acquisito e consolidato in maniera irreversibile o se, al contrario, sono fortemente insidiati da attacchi tesi a cancellarli o a limitarli.

Oggi è forte il pericolo che i diritti vengano ridotti a semplici titoli da scambiare sul mercato, in una visione economicistica che li mortifica e che assegna al mercato anche la funzione di dettare le condizioni per il loro riconoscimento. Questa concezione dei diritti intesi come beni economici, determina come logica conseguenza il loro essere considerati come beni di lusso, un qualcosa, cioè, che in tempo di crisi economica, non ci si può permettere di chiedere.

Va, al contrario, ribadito, che i diritti non sono merce, che non possono essere valutati sulla base di categorie economiche e che, conseguentemente, la globalizzazione non può travolgere i diritti e la dignità delle persone.

E se è vero che, in un mondo globalizzato nel quale c’è una prevalenza assoluta della dimensione economica e i diritti vengono considerati come un ostacolo allo sviluppo e al progresso, non può non  aprirsi un forte conflitto tra la dimensione giuridica e la dimensione economica.

Il nostro compito è quello di capire in che modo questo processo possa essere governato, e se in questa fase di capitalismo finanziario, decadente e fortemente individualistico, nel quale diseguaglianze economiche e l’iniquità sociale sono aumentate, è ancora possibile percorrere una strada per costruire un sistema di valori consono alle esigenze dell’uomo ed in sintonia con i tempi in cui viviamo.

La globalizzazione – che come tutti i fenomeni complessi non può essere letto in maniera semplice e lineare – ha determinato la nascita di alcuni fenomeni problematici: da un lato  l’indebolimento del potere legislativo degli Stati nazionali e l’espansione del potere dei giudici, sia all’interno degli Stati sia in ambito internazionale ; dall’altro lo svilupparsi dell’elaborazione normativa delle transnational law.

Sul primo fenomeno va detto che quest’indebolimento, per contrasto, ha generato una massiccia produzione legislativa confusa, di scadente qualità tecnica e di difficile interpretazione e applicazione, che gli avvocati sono costretti a subire quotidianamente.  Un’ipertrofia legislativa che nasce da una politica che ha smarrito ogni capacità progettuale e che essendo ostaggio di interessi particolari, di forze politiche che fondano il loro consenso sulle paure delle persone,  non è più in grado di realizzare scelte strategiche.

Una situazione che finisce per aumentare a dismisura il potere degli interpreti e in particolare dei giudici, sino a configurare un vero e proprio potere normativo delle corti civili e penali.

“Le Corti costituzionali europee tendono a profilarsi come fonti supreme del diritto, accantonando i parlamenti e sostituendosi alla sovranità popolare ormai dispersa e senza rappresentanza. Sembra dunque avverarsi la celebre massima formulata da Carl Schmitt secondo la quale sovrano non è colui che ha il potere di fare le leggi o di proclamare i diritti, ma è colui che ha il potere di interpretare e applicare le norme.” (1) Ebbene di fronte di fronte a questo fenomeni che sono stati definiti giudizializzazione del diritto a livello globale o internazionalismo giudiziario, che erodono la sovranità degli Stati e limitano il potere legislativo dei parlamenti, è lecito chiedersi cosa pensa l’avvocatura ?

E’ questo un fenomeno positivo, come io credo, che consente agli avvocati di svolgere al fianco delle Corti una funzione interpretatrice e nello stesso tempo innovatrice del diritto o va restituita una centralità al legislatore ?

In ordine al fenomeno prima indicato delle transational law, si sta sempre di più affermando un sistema giuridico fondato sullo schema privatistico del contratto:  “ai giuristi specialisti dello strumento giurisdizionale, si vanno affiancando, nelle pratiche della società civile mondiale, gli specialisti del lobbying politico e, accanto a essi, gli specialisti del contenzioso d’affari, i litigators. Sono queste due categorie di lawyers che stanno acquistando il peso maggiore nei fori della globalizzazione economica, politica e giuridica. All’etica dell’imparzialità questi giuristi-strateghi contrappongono un machiavellismo giuridico che li allontana dai fondamenti culturali dello Stato di diritto e quindi da ogni sensibilità per il tema dei diritti umani e in particolare dei nuovi diritti soggettivi. Essi pongono le loro competenze al servizio di corporazioni transnazionali rispetto alle quali le istituzioni degli Stati

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(1) Danilo Zolo Nuovi diritti e globalizzazione Treccani

nazionali sono sempre meno in grado di difendere i diritti degli individui e dei soggetti collettivi, e di proteggere in particolare i soggetti più deboli.” (2)

Orbene  se anche quest’analisi è corretta, c’è da domandarsi, di fronte a questo processo evolutivo altrettanto rilevante, quale posizione l’avvocatura deve assumere ?

Ed in questo mutato quadro, qual è la funzione dell’avvocato moderno ?

Cosa significa essere avvocati in un mondo globalizzato? Esiste un dualismo tra i grandi studi internazionali,  le cd  law firms, e cioè dei grandi studi associati di avvocati ed esperti legali, che sono al servizio degli interessi delle grandi multinazionali, e gli altri studi di avvocati che, legati ad una dimensione territoriale, coltivano una vecchia concezione della professione fedele ai principi deontologici dell’avvocatura?

Cosa dobbiamo fare per evitare il diffondersi di un’idea mercificata dei rapporti giuridici, che fanno prevalere il diritto privato sul diritto pubblico, gli interessi economici di gruppi di potere su quelli sociali ? Come sviluppare temi importanti come quelli della responsabilità sociale dell’impresa, dell’etica del mercato al fine di bilanciare gli interessi in conflitto e difendere i valori della persona anche nelle società globalizzate?

Penso che questi siano i termini reali della partita, che si sta giocando a livello mondiale, tra chi cerca cioè di imporre un modello di avvocatura funzionale agli interessi dei potentati economici e chi ha una concezione diversa dell’avvocatura, legata alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Ed è per questo che noi non possiamo restare indifferenti di fronte a proposte che cercano di imporci la creazione di società con soci di puro capitale, che condizionano le nostre decisioni ed intervengono pesantemente nell’organizzazione dello studio, nella scelta e nella difesa dei clienti.

Per quanto sia giusto che gli avvocati debbano dare risposte concrete alle esigenze di una società moderna e in rapida evoluzione in nessun caso il progresso può comportare lo stravolgimento della  nostra professione e la rinuncia a svolgere la nostra funzione sociale di custodi del diritto contro gli abusi del potere.

Riusciremo a svolgere questa funzione o le logiche del mercato prevarranno su quelle del diritto? Gli avvocati italiani pensano che l’Avvocatura debba rimanere indipendente e autonoma, per poter assolvere il suo compito costituzionale e che ogni normativa che attenti alla nostra libertà colpisce i diritti delle persone e riduce il tasso di democrazia.

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(2) Danilo Zolo Nuovi diritti e globalizzazione Treccani

C’è da chiedersi se i concetti sin qui da me espressi sono condivisi e in che misura dagli avvocati e se i vertici dell’avvocatura  internazionale considerano queste posizione idealiste e superate dai tempi. E’ assolutamente necessario interrogarci su questi temi e porre al centro del suo dibattito il tema sul  ruolo e la funzione che gli avvocati devono svolgere nella società moderna, affinché, senza ipocrisie e fraintendimenti ci sia un confronto tra le diverse anime dell’avvocatura.

E se è vero che la nostra rinascita passa necessariamente attraverso il superamento della crisi di identità che ci attraversa e il senso di smarrimento che ci indebolisce e anche vero che questa riflessione non può essere lasciata alla libera interpretazione di ogni singolo avvocato, ma deve essere frutto di elaborazione collettiva che ci coinvolga tutti e non solo al livello nazionale.

Fino a quando non riusciremo a costruire una nuova figura di avvocato saremo facili prede di chi ci vuole condizionare, ostaggi di chi ha un’idea della Giustizia come nuovo mercato da conquistare, perché è bene dirlo più l’avvocatura sarà divisa e più sarà facile distruggerci. Vogliono fiaccare i nostri spiriti per poi comprarci a basso prezzo, perché – e loro lo sanno bene- hanno comunque bisogno della nostra professionalità, della nostra intelligenza, della nostra cultura.

Allora se è vero, che l’aggressione all’avvocatura è su scala mondiale, perché è radicalmente cambiato il mondo in cui viviamo, è folle pensare di respingere gli attacchi alla nostra autonomia ed indipendenza senza affrontare il problema nei termini di una costante e intensa collaborazione tra gli avvocati dei diversi paesi. E’ forse utopico parlare di coordinamento tra le avvocature dei distinti continenti che ci consenta di parlare con un’unica voce e rappresentare le nostre istanze con maggiore forza ?

Dobbiamo recuperare la fatica del progettare, del contrastare il pensiero unico dominante che converte tutto in merce e che spinge i cittadini ad accettare la riduzione dei propri diritti. E se questo è l’armamentario ideologico contro il quale combattiamo, che senso ha dichiarare la nostra funzione di tutela dei diritti, se le persone, ormai rassegnate, sono convinte che è un inganno reclamare il riconoscimento dei diritti fondamentali, perché non possono trovare attuazione e hanno addirittura il  timore di chiedere la loro tutela?

Che senso ha il nostro ruolo quando i cittadini non sanno di avere diritti e si sentono stranieri, cioè estranei, nel loro paese? Siamo ancora legittimati a reclamare quella funzione sociale, che ci deriva dalla tradizione millenaria del pensiero giuridico, quando poi, nel nostro Mediterraneo, abbiamo assistito silenziosi allo scempio del diritto di asilo e alla sistematica violazione della convenzione di Ginevra in materia di rifugiati? Siamo ancora credibili agli occhi dei cittadini se siamo silenti di fronte al dramma della condizione umana nelle carceri, alla sistematica violazione della pace, ai disastri ambientali e alle piccole e grandi tragedie umanitarie e sociali?

Senza un patto tra avvocati e cittadini non avremo futuro e saremo destinati ad essere sconfitti perché con l’avanzare della crisi e l’aumentare delle diseguaglianze, sempre meno persone chiederanno la tutela dei loro diritti.

La storia ci insegna che i diritti non sono mai acquisiti una volta per tutte, che sono continuamente insidiati e messi in discussione e che la loro affermazione in via teorica non è sufficiente ma bisogna sempre lottare per chiederne il rispetto e l’efficacia. Gli avvocati sanno bene che senza diritti non c’è democrazia e che se si dà la prevalenza ai valori e alle categorie dell’economia, le democrazie rischiano di trasformarsi in oligarchie dirette dai pochi che controllano il potere economico.

Nessuna crisi per quanto grave può giustificare l’abbandono dei principi giuridici che sono a fondamento della nostra cultura ed è per questo che dobbiamo ripartire dalle scuole e dalle Università per una campagna di rieducazione al diritto, che significa anche un recupero dell’etica del dovere e del rispetto dei principi morali.

Al termine di quest’incontro e dopo un dibattito che ci fornirà molti spunti di riflessione, prepareremo un “ Manifesto dell’avvocatura” , un documento che ha l’a

mbizione di rappresentare un primo importante passo volto a definire i confini della nostra identità , a stabilire i principi ineludibili della nostra professione e a immaginare un ipotesi di coordinamento tra le grandi organizzazioni regionali degli avvocati ( CCBE- FBE- UIBA) e gli ordini qui rappresentati.

Penso che non sia un caso che quest’appello all’unità dell’avvocatura internazionale parta proprio da Napoli, una città che non ha mai dimenticato la lezione di quei grandi spiriti del Settecento – da Giannone a Genovesi, a Vico, a Filangieri» – così come il sacrificio di Mario Pagano e degli avvocati martiri della rivoluzione del 99, di coloro cioè che ci hanno insegnato che per essere avvocati bisogna essere prima di tutto dei giuristi colti e dei pensatori liberi ed indipendenti.

Avv. Alessandro Senatore

Responsabile per le relazioni internazionali dell’Ordine degli Avvocati di Napoli

Sabino Cassese  – L’Italia: una società senza Stato?  Edizioni Il Mulino

Stefano Rodotà –  Il diritto ad avere diritti Laterza Editori

Gustavo Zagrebelsky – Contro la dittatura del presente: perché è necessario un discorso sui fini Laterza Ed

Danilo Zolo – Nuovi diritti e globalizzazione Treccani

Studio Legale Senatore
L’esperienza, la professionalità e la passione per il lavoro, sono gli aspetti che caratterizzano Alessandro Senatore. Sempre disposto all’ascolto, fautore della mediazione come pratica efficace per la soluzione dei conflitti, sostenitore dell’arbitrato quale valido e rapido strumento per la risoluzione delle controversie, in ogni caso, fortemente determinato nell’affrontare i conflitti che gli vengono sottoposti, ha come principale obiettivo l’interesse dei propri assistiti.

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